Il 21 gennaio di quest’anno ricorre il centesimo anniversario della morte di Lenin, che è stato il più grande rivoluzionario del XX secolo. L’unico modo per omaggiarne la memoria è pubblicare i suoi libri e ricordare il contributo politico e organizzativo che il grande rivoluzionario russo ha dato alla costruzione del partito bolscevico, che nell’Ottobre del 1917 guidò i lavoratori russi alla conquista del potere.
Lenin avrebbe avuto orrore del mausoleo che gli tributarono gli stalinisti, che lo imbalsamarono dopo la morte e gli sezionarono il cervello per studiarne la presunta superiorità genetica.
Vladimir Ilic Ulianov (Lenin) è stato calunniato in tutti i modi dal mondo accademico e dagli storici della classe dominante.
Ad esempio il Corriere della Sera, in un articolo di Antonio Carioti del giugno 2019, si esprimeva in questi termini: “La dittatura del proletariato, equivoco concetto formulato da Marx, non poteva che essere, nell’accezione di Lenin, la dittatura dei rivoluzionari di professione, cioè il potere assoluto del suo partito e della sua persona. (…) Il Gulag non è stato un caso o una deviazione, bensì la conseguenza logica della politica di Lenin.”
La verità è l’esatto opposto di ciò che questi signori affermano. Non hanno mai perdonato a Lenin di aver guidato le masse al rovesciamento del capitalismo.
A fare il paio con la classe dominante gli stalinisti, che in definitiva condividono l’idea del Corriere della Sera che i gulag sono “la conseguenza logica della politica di Lenin”. Per dimostrarlo sono costretti a coltivarne il culto della personalità, presentandolo come un dirigente incapace di sbagliare, che guidava le masse a bacchetta come un direttore d’orchestra.
Ed è così che nascono le leggende staliniane, come quella secondo cui il giovane Lenin, dopo la morte del fratello Alexej, impiccato dal regime per aver attentato alla vita dello zar, avrebbe affermato: “Noi seguiremo un’altra strada.”
Lenin fu scosso dalla morte del fratello, non era a conoscenza della sua attività politica e mantenne per diversi anni le sue illusioni populiste. L’idea che a 17 anni Lenin fosse un marxista fatto e finito, armato fino ai denti della teoria marxista così come la dea Minerva uscita dalla testa di Giove, è un’idea ridicola che viene ripetuta ancora oggi dai manuali stalinisti.
La realtà è tutt’altra. Ci vollero almeno altri 6 anni di studio perché Lenin giungesse definitivamente a conclusioni marxiste attraverso la lettura approfondita di testi come il Capitale e l’Anti-Dühring, oltre che degli scritti di Plechanov, che aveva rotto con il populismo per dar vita al movimento socialista in Russia.
La coscienza socialista di Lenin potrà considerarsi formata solo nel 1893, come lo stesso Lenin sostenne dopo la rivoluzione rispondendo a un’inchiesta interna del partito. Solo 24 anni più tardi, con un instancabile lavoro politico ed organizzativo, costruendo e distruggendo diverse direzioni ed apparati e con metodi che cambiavano a seconda delle circostanze concrete, Lenin avrebbe condotto i lavoratori russi alla conquista del potere.
Dopo la morte del fratello, Lenin fu espulso dall’università per le sue attività politiche. A 23 anni si trasferì da Samara a San Pietroburgo per formare uno dei primi circoli marxisti.
La Russia era un paese arretrato, ma l’enorme quantità di investimenti del capitale straniero avevano formato un proletariato estremamente combattivo e concentrato nelle grandi fabbriche (oltre il 50% degli operai di tutta la Russia lavoravano in fabbriche con più di 500 dipendenti). L’impatto che ebbero le idee marxiste fu enorme.
Nei primi due anni della sua militanza Lenin passava la maggior parte del tempo a studiare le legislazioni operaie e le condizioni dei lavoratori in fabbrica, scrivendo decine di volantini che venivano elaborati dopo un confronto serrato con gli operai più avanzati. Come ebbe modo di commentare ironicamente un operaio della Tornthon, “preferisco fare un turno in più in fabbrica che sottopormi all’interrogatorio incessante a cui mi sottopone il compagno Lenin quando esco da lì”.
Ma la risposta della polizia zarista non si fece attendere. Nel 1895 Lenin fu arrestato ed esiliato. Il primo congresso del POSDR (Partito socialdemocratico russo) si svolse a Minsk nel 1898 alla presenza di solo 9 delegati e fu interrotto dalla polizia. Dopo poche settimane la maggior parte dei partecipanti era in galera.
Il lavoro politico in quel frangente poteva svilupparsi solo in condizioni di clandestinità. La vita media dei circoli marxisti che si formavano era di 2-3 settimane prima che la polizia li sciogliesse con la forza. Molti attivisti furono costretti ad emigrare.
In queste condizioni Lenin concentrò i suoi sforzi per dare vita al giornale Iskra (La Scintilla) che doveva unificare i circoli di tutto il paese e svolgere il ruolo di direzione politica e di “organizzatore collettivo”. Il primo numero dell’Iskra apparve la vigilia di Natale del 1900 e si apriva con un articolo significativo: “I compiti urgenti del nostro movimento”, scritto dallo stesso Lenin in polemica con gli economicisti del Raboceie Dielo, i quali, mettendo da parte i compiti politici del proletariato, sostenevano che i lavoratori dovevano limitarsi a condurre una lotta esclusivamente di tipo sindacale per ottenere miglioramenti economici e, come emerse chiaramente in un testo della Kuskova (Il Credo), questa azione doveva essere condotta in stretta alleanza con i liberali borghesi.
La polemica con gli economicisti fu alla base del libro Che Fare? scritto nel 1902, dove Lenin nel vivo della polemica avanzò l’idea che la coscienza doveva essere portata ai lavoratori “dall’esterno”, vale a dire dagli intellettuali, i cosiddetti “rivoluzionari di professione”.
Questa idea, strumentalizzata ancora oggi dalla borghesia, verrà messa in discussione più volte dallo stesso Lenin nel corso della rivoluzione del 1905 e successivamente nel periodo ascendente dello scontro di classe nel 1912; ma per alcuni è tutto ciò che di Lenin bisogna sapere in campo organizzativo.
Nel Che Fare? Lenin rovesciò il bastone dall’altra parte e nel caldo della polemica con gli economicisti, che avevano un referente internazionale di prestigio in Bernstein (“Il movimento è tutto, il fine è nulla”), si spinse troppo oltre.
Il II congresso del Posdr del 1903 provocò una divisione inattesa, tra bolscevichi (posizione maggioritaria) e menscevichi (posizione minoritaria) dopo 22 sessioni del congresso che fino a quel momento avevano visto il gruppo dei sostenitori dell’Iskra mantenersi compatto.
La redazione dell’Iskra era composta da Plechanov, Vera Zasulic, Axelrod, Lenin, Martov e Potresov. Trotskij su proposta di Lenin doveva essere il settimo membro della redazione, ma ne restò fuori per l’opposizione di Plechanov che detestava “la Penna” (il soprannome del giovane Trotskij).
Gli iskristi in modo compatto, con alla testa Trotskij (che in quelle discussioni venne definito il “bastone di Lenin”), si opposero alle posizioni degli economicisti e dei bundisti (il partito ebraico i cui dirigenti pretendevano di avere l’esclusiva sul proletariato ebreo, separandolo organizzativamente dai proletari delle altre nazionalità).
La divisione cominciò sul primo capitolo dello Statuto che determinava le condizioni per essere considerati militanti di partito. Secondo Lenin, per essere considerati tali bisognava partecipare attivamente a una cellula del partito, mentre per Martov era sufficiente “lavorare sotto la direzione del partito anche se non si partecipava attivamente a una delle sue strutture”. Vinse la posizione di Martov. Lenin su questo punto restò in minoranza e non se ne crucciò più di tanto, affermando che “non saremmo morti per un punto mal posto nello Statuto”.
Ma quando gli economicisti e i bundisti abbandonarono la sala nell’ultima sessione del congresso, arrivò la spaccatura dolorosa e dilaniante sull’elezione della nuova redazione dell’Iskra. In questo caso prevalse la posizione di Lenin sostenuta da Plechanov con l’opposizione di Martov, Trotskij e di coloro che nella proposta di Lenin venivano esclusi dalla redazione (Vera Zasulic e Axelrod su tutti).
La nuova redazione di 3 membri (Lenin, Plechanov e Martov) era stata de facto la redazione negli ultimi due anni. Erano i tre dirigenti che avevano scritto la grande maggioranza degli articoli ed erano quelli che si prodigavano per l’uscita del giornale (Lenin in particolare con il preziosissimo aiuto di Nadezda Krupskaja, sua compagna di vita).
La vera divisione politica fu successiva al II congresso e si centrò sull’atteggiamento da tenere nei confronti dei liberali e sul carattere che avrebbe avuto la rivoluzione russa.
Gli stalinisti hanno tentato di dimostrare che Trotskij fu menscevico dal 1903 fino al 1917. In realtà Trotskij si schierò con Martov perché non capì l’esclusione di dirigenti che stimava e che avevano svolto un grande ruolo nel passato ma erano ormai totalmente inadeguati. Non restò con i menscevichi fino al 1917, ma ruppe con essi nell’autunno del 1904, mentre Plechanov si mosse nella direzione opposta facendo perdere a Lenin il controllo dell’Iskra. Non a caso nel corso della Rivoluzione del 1905 il giornale di Trotskij (Nachalo) e quello di Lenin (Novaya Zizn) andavano d’amore e d’accordo, nonostante Lenin facesse una gran fatica a convincere i bolscevichi a sostenere i soviet di cui Trotskij era presidente.
Se è vero che tutte le tendenze del POSDR consideravano la futura rivoluzione come una rivoluzione democratico-borghese, le differenze si riscontravano su quale classe avrebbe guidato la rivoluzione.
I menscevichi rispondevano a questa domanda dicendo che il compito spettava alla borghesia, che però in Russia non aveva alcuna intenzione di rovesciare l’autocrazia zarista, con la quale era legata da mille fili. La risposta di Lenin e dei bolscevichi era che un’alleanza tra il proletariato e i contadini poveri poteva portare a termine tale compito (attraverso “la dittatura democratica degli operai e dei contadini”). Trotskij nel 1906 elaborò una terza posizione in Bilanci e prospettive: era d’accordo con Lenin che bisognava rompere con i liberali e che dovevano essere i lavoratori a guidare la rivoluzione, ma pensava anche che non ci si dovesse fermare a metà strada e nel corso del processo rivoluzionario applicare misure socialiste che avrebbero aperto la strada alla rivoluzione socialista mondiale. La prospettiva della “rivoluzione permanente” si confermò del tutto corretta nel 1917.
Ed è così che colui che viene presentato come il dittatore di un partito antidemocratico e fanatico si trovò completamente isolato nel 1904, in minoranza nel congresso di Stoccolma del 1906, in minoranza nella sua stessa frazione nel 1908 sulla questione del boicottaggio della Duma, costretto a tentare una riunificazione con i menscevichi nel 1909-1910 rispettando decisioni che non condivideva, fino a spingersi nel 1912 a formare un partito indipendente. Un partito nel quale si trovò ancora in minoranza più volte, come nell’aprile del 1917 quando Le tesi di aprile vennero pubblicate sulla Pravda con la sola firma di Lenin e con una presentazione sfavorevole del direttore, Kamenev.
Per inciso in quel frangente Stalin era schierato con Kamenev, mentre Trotskij (che ancora non era rientrato in Russia) era totalmente in linea con Lenin, fino al punto che Kamenev accusò apertamente Lenin di trotskismo.
Quella posizione “isolata” si affermò poche settimane più tardi, sostenuta dalla base operaia dei quartieri di Vyborg e dai settori più combattivi del proletariato di Mosca e Pietrogrado. La base era molto più rivoluzionaria della sua direzione ed è così che, grazie all’appoggio delle masse, Lenin riconquistò la maggioranza nel partito. Grazie a questa battaglia il partito ruppe la subordinazione verso i liberali e si aprì la strada per la vittoria rivoluzionaria.
Anche dopo la rivoluzione il futuro presidente dei commissari del popolo dell’URSS, nonostante l’enorme autorità che aveva conquistato nel partito e tra le masse, si trovò in minoranza diverse volte. Quando ottenne la maggioranza, concesse a Bucharin di pubblicare un quotidiano di minoranza a spese dello Stato (Il Comunista). Nei primi anni del potere sovietico c’erano discussioni frenetiche in ogni ambito del partito e dei soviet su ogni argomento, nonostante la guerra civile, provocata dall’invasione di 21 eserciti imperialisti (tra cui due brigate di carabinieri inviate dall’Italia).
Ma furono fatali la sconfitta della rivoluzione in Germania, in Italia, della repubblica socialista ungherese e altre sconfitte minori che fecero arretrare il movimento e isolarono l’URSS dando spazio a una burocrazia corrotta guidata da Stalin.
L’ultima battaglia di Lenin fu contro di loro come dimostra il suo testamento, ma Lenin non ebbe il tempo per portarla a termine. Il terzo ictus se lo porto via.
Il modo migliore per onorare la sua memoria è continuare quella battaglia per il comunismo e contro lo stalinismo. Come ebbe modo di commentare la Krupskaja nel 1926: “Se Lenin oggi fosse vivo sarebbe nelle prigioni di Stalin.”
Tocca a noi raccogliere quella bandiera e continuare la lotta per il comunismo!
Suisse — ✏ la scintilla svizzera — 29. 01. 2024
Nord America — ✏ Revolutionary Communists of America — 17. 11. 2024
Nord America — ✏ Alan Woods, marxist.com — 08. 11. 2024
Medio Oriente — ✏ Jorge Martin, marxist.com — 02. 10. 2024
sciopero — ✏ Dario Dietsche, Berna — 21. 08. 2024